La
lettera aperta inviata da Stefano Rodotà a tutti i Sindaci della provincia
spezzina contenente l’appello per l’adesione alla campagna “Col pareggio ci perdi” inizia proponendo la cancellazione delle
norme introdotte nel gennaio 2012 nell’art. 81 della Costituzione, le quali
mirano ad assicurare il pareggio di bilancio.
L’abolizione
delle norme costituzionali sul pareggio di bilancio sarebbe giustificata in
quanto si tratta di: “Una scelta anti
democratica che ha condannato, di fatto, lo Stato italiano a dover spendere
unicamente quanto incassato”; ma questa affermazione è irrazionale poiché
definisce come anti democratico un criterio adottato da tutte le norme
contabili private e pubbliche: si può spendere solo ciò che si ha a
disposizione, non ciò che non si ha, poiché in quest’ultimo caso si fallisce o
si fa bancarotta, cioè si assiste ad una insolvenza, dolosa o colposa.
Pensare
che sia una norma, seppur di valore costituzionale, a impedire “allo Stato di fronteggiare le crisi
economiche e di agire per garantire occupazione e diritti sociali” è ragionamento
puerile, che opera un superficiale collegamento tra gli effetti dell’attuale
crisi (disoccupazione, riduzione redditi, ecc.) con una norma che prima di
tutto deve essere di buon senso: cioè si può spendere solo ciò che si è
incassato o si ha a disposizione.
Affermare
che “prima debbano venire soddisfatti i
bisogni e i diritti fondamentali delle persone, poi vengono le questioni che
attengono alla contabilità dei conti dello Stato” è pura demagogia: siamo
tutti consenzienti in via generale, ma poi in concreto i bisogni si soddisfano
con adeguate politiche industriali, occupazionali, sociali ed economiche e su queste
politiche le opinioni sono diversissime e quasi sempre non condivise da tutti; il
bilancio in realtà registra solo come si finanziano e si spendono le risorse a
disposizioni per attuare queste politiche e tale registrazione deve seguire
regole e non una libera e fantasiosa creatività.
Inoltre,
occorre sottolineare che prima della introduzione della norma del pareggio di
bilancio in Costituzione (2012) non è che venissero sempre assicurati “i bisogni primari”; al contrario non è
conseguenza dell’introduzione di tale norma che non sono stati soddisfatti
questi bisogni.
Dunque,
collegare la norma introdotta nel 2012 ed entrata in vigore il 1/1/2014 con la
crisi iniziata nel 2008 è sbagliato; rendere tale norma responsabile degli
effetti di questa crisi è puerile distrazione rispetto alle vere cause ed ai
reali problemi quotidiani.
In
poche parole, con questa campagna “Col
pareggio ci perdi” si introduce un “nemico di comodo” (appunto la norma del
pareggio da cancellare) per additarlo al “popolo”, raccogliendone un facile ed
immediato consenso (esempio classico di populismo), distogliendo però
l’attenzione sulle vere e reali problematiche che abbiamo sia in termini
economici e finanziari, che rispetto al deficit di bilancio, ma soprattutto
rispetto all’enorme indebitamento pubblico: ammonta a 2.160,1 miliardi (pari al 136,4% in rapporto al PIL), debito che genera interesse annui per oltre
80 miliardi (circa 5,3% del Pil) e nel 2015 potrebbero arrivare a circa 100
miliardi annui.
L’ammontare
degli interessi annui è superiore ad ogni manovra di contenimento in questi
anni approvati dai vari Governi e, quindi, genera automaticamente un costante
incremento del debito pubblico che continua a crescere inesorabilmente.
Negli
ultimi 20 anni l’avanzo primario italiano ha rappresentato mediamente il 2,1%
del Pil (contro lo 0,2% della Germania). Il problema è che tanta abbondanza è
finita nella voragine della spesa per interessi da pagare sul debito pubblico
che, per l’Italia, ha significato 1.650 miliardi (pari al 6% del Pil, contro
1.058 miliardi d’interessi pagati dalla Germania pari al 2,4% del Pil tedesco).
Allora
è qui il problema vero: l’Italia si trascina dal 1992 (l’anno della firma del
Trattato di Maastricht) un debito
pubblico, che già allora rappresentava il 104,7% del Pil, mentre il debito
pubblico degli altri Paesi europei era inferiore (42% quello della Germania, il
39,7% quello della Francia e il 45,5% della Spagna).
In
questi anni, non si è mai discusso abbastanza dell’effetto devastante che ha
avuto sulla crescita la politica di bilancio adottata per ridurre il debito
pubblico mediante la creazione dell’avanzo primario ed ancor più dell’effetto
depressivo sull’intera economia che deriva dall’effetto di traino sul costo del
credito indotto dai tassi di interesse reali pagati su un debito pubblico eccezionalmente
elevato.
I
vari Governi italiani hanno usato la leva fiscale per alimentare la crescita
della ricchezza finanziaria ad un ritmo nettamente superiore rispetto a quello
dell’economia reale. Lo Stato italiano, quindi, usa la leva fiscale per
alimentare la crescita della ricchezza finanziaria (derivante dai titoli di
Stato) ad un ritmo nettamente superiore rispetto a quello dell’economia reale.
Il
vero problema dell’Italia è il debito pubblico eccessivo. Questo debito va
abbattuto subito, per esempio trasformando il Demanio fruttifero in un Fondo
patrimoniale le cui quote di proprietà sono cedute in cambio del debito.
Con
80 miliardi di interessi in meno da pagare si potrebbe abbassare il carico
fiscale, creare un reddito di cittadinanza, aggiustare il sistema pensionistico
e quello del welfare, aiutare la ricapitalizzazione delle banche per un
migliore accesso al credito da parte di famiglie e imprese, rimettere in sesto
il territorio, migliorare i servizi pubblici (scuola, sanità, giustizia, PA),
ridurre la disoccupazione e far ripartire una volta per tutte il Paese. Intanto
però ci tocca aspettare ancora.
Insomma
bisogna interrompere questa crescita costante del debito pubblico in caso
contrario il fallimento dello Stato italiano si avvicina.
Ma
non basta. Se veramente si è convinti della necessità di “soddisfare i bisogni e i diritti fondamentali delle persone”
bisogna entrare nel merito della gestione dello Stato, delle Regioni e dei
Comuni, esaminare la cattiva gestione degli appalti e delle partecipate, gli
sprechi di denaro pubblico, gli alti stipendi dei dirigenti, i privilegi dei
politici, le assunzioni ingiustificate, tagliare il sistema clientelare,
attuare una semplificazione burocratica, contrastare l’evasione e l’elusione
fiscale, ecc.. Solo tagliando queste “anomalie” e rivedendo la spesa pubblica
si possono recuperare quelle risorse per ridurre sia il debito pubblico, che
quelle necessarie per soddisfare i bisogni delle persone.
In
caso contrario si continuerà a ricorrere ad un indebitamento che piano piano
non sarà più possibile pagare e si dovrà dichiarare che non si pagherà, con
danni enormi che porteranno all’impoverimento generale, anche delle classi
medie-alte.
Il
Consigliere Comunale di Castelnuovo Magra
Euro
Mazzi
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