Un
recente articolo del Secolo XIX del 15/2/15 segnalava come alla Liguria
spettasse il primato della benzina più
cara d’Italia (e … probabilmente d’Europa), a causa della introduzione dell’addizionale
di 6,1 centesimo introdotta dopo le alluvioni del 2011, con un incasso di circa
7 milioni di euro annui che dovrebbero essere utilizzati per interventi
riguardanti il dissesto idrogeologico, specie interventi sulle strade.
Insomma,
non bastava che sulla benzina gravassero già “tasse
misteriose” che resistono da oltre 70 anni e continuiamo a pagare: la prima
fu introdotta da Mussolini nel lontano 1935 - 1,90 lire al litro sulla benzina
per finanziare la guerra di conquista dell’Abissinia.
Poi nel corso degli anni
ogni Governo ha deciso di imporre “balzelli” per ogni emergenza: la crisi di
Suez del 1956 (14 lire); il disastro del Vajont del 1963 (10 lire); l’alluvione
di Firenze del 1966 (10 lire); il terremoto
del Belice del 1968 (10 lire); il terremoto del Friuli del 1976 (99 lire); il terremoto
in Irpinia del 1980 (75 lire); la missione in Libano del 1983 (205 lire); la missione
in Bosnia del 1996 (22 lire); il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri
del 2004 (0,020 euro, ossia 39 lire); nel 2011 la manutenzione e la
conservazione dei beni culturali, di enti ed istituzioni culturali (0,0073
Euro) e 0,040 Euro per far fronte all'emergenza immigrati dovuta alla crisi
libica; nel 2011 altri 0,0089 per far fronte all'alluvione in Liguria ed in
Toscana; nel 2011 ulteriori 0,112 Euro
sul diesel e 0,082 Euro per la benzina in seguito alla finanziaria 2011 del
governo Monti; altri 0,02 euro per il terremoto dell’Emilia del 2012.
Euro
Mazzi
Ma
non finisce qui: perché come spesso accade in Italia, abbiamo una tassa sulla tassa. Su queste tasse e sulla imposta di
fabbricazione viene aggiunta pure l’Iva del 22%.
Alla
fine il prezzo complessivo della benzina che si paga al distributore è composto
da varie voci: dal costo del prodotto raffinato, dal costo del suo trasporto e
di stoccaggio, ai costi generali aziendali (spese di ufficio e del punto
vendita, fino al margine per il gestore), ed infine dalle tasse. Tutti i vari costi specifici della benzina
incidono però per circa il 30%, mentre il 70% da tasse, ci cui le sole accise pesano
per il 52%.
Ma
quanto guadagna lo Stato nel suo complesso? I conti sono facili, ogni centesimo di aumento
sul carburante comporta un maggiore introito di circa 20 milioni di euro al
mese per le casse dello Stato. Secondo i dati dell’Unione petrolifera nel 2007,
le entrate fiscali alimentate dai prodotti petroliferi sono state superiori ai
35 miliardi (24,7 derivanti dalle accise e 10,5 dall’Iva).
Alla fine il prezzo
alla pompa della benzina venduta in Italia è il più alto d’Europa, anche a causa
di un peso fiscale che solo in Olanda, tra i 27 paesi dell’Ue, presenta un
valore leggermente superiore al nostro. In proposito, la CGIA di Mestre ha
confrontato i dati europei e ha concluso che sulla benzina e anche sul gasolio
abbiamo le tasse più alte d’Europa. Tenuto conto che il 90% delle nostre merci
viaggia su strada ogni aumento della benzina comporta un aumento significativo
dei prezzi dei principali beni di consumo.
Se
a questa situazione si aggiunge il
rincaro del bollo auto, delle polizze assicurative, delle varie multe si
comprende come l’automobile (insieme alla casa) rappresentino una vera e
propria patrimoniale mascherata, la quale unita alle tasse sul lavoro raffigurano
un salasso vero e proprio operato dallo
Stato su chi lavora e produce.
Ma
questo salasso si traduce anche in un vero
blocco allo sviluppo operato dall’intervento statale con le tasse. E non
solo perché l’aumento delle tasse comporta generalmente una minore propensione
al consumo, e quindi al calo della domanda e conseguentemente alla caduta della
produzione e alla crisi produttiva. Inoltre, questa particolare situazione
spiega l’acuirsi della crisi dei produttori di automobili (crollo delle le
immatricolazioni di vetture nuove), esattamente come quella analoga del settore
edile (crollo delle costruzioni e ristrutturazione, nonché degli stessi mutui).
Tale crisi si riversa in primo luogo sui lavoratori che vengono messi in
mobilità (vedere l’aumentato ricorso alla cassa integrazione) e poi licenziati (vedere aumento
disoccupazione, specie giovanile). Insomma, lo Stato si finanzia anche con le tasse sull’automobile, ma poi questo
finanziamento di fatto comporta una maggiore spesa (cassa integrazione e
indennità di disoccupazione), ma
soprattutto una riduzione di reddito (impoverimento) delle famiglie che si
traduce in minore gettito fiscale.
Aumento delle spese e riduzione delle entrate, a loro volta, comportano nuove tasse o il loro aumento … una
catena perversa che impoverisce il cittadino e porta diritto al fallimento dello Stato.
L’alternativa
a questo perverso circolo vizioso ci sarebbe: la riduzione della spesa pubblica
e la sua riqualificazione per assicurare una maggiore efficienza ed efficacia
all’intervento statale.
Ma
tale alternativa si scontra sulla difficoltà di avere politici con idee chiare, grande conoscenza della macchina
statale nel suo complesso e, soprattutto, volontà ferree nel procedere contro
le rendite garantite dai privilegi statali … qualità assai rare attualmente in un
politico italiano e da considerare quali “beni preziosi”indispensabili e
urgenti da trovare!!!
Questo
è il vero problema italiano che viene drammaticamente rappresentato dal livello
crescente dell’indebitamento dello stato italiano e dal rischio di un
fallimento che potrebbe incidere pesantemente sulla qualità della vita degli
italiani.
Bisogna
svegliarsi e agire prima che sia troppo tardi.
(fine prima
parte)
Nessun commento:
Posta un commento