castelnuovo magra

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sabato 21 febbraio 2015

LE TASSE SULLA BENZINA … UNA TASSA PATRIMONIALE MASCHERATA CHE BLOCCA LO SVILUPPO E CONTRIBUISCE ALL’IMPOVERIMENTO …

Un recente articolo del Secolo XIX del 15/2/15 segnalava come alla Liguria spettasse il primato della benzina più cara d’Italia (e … probabilmente d’Europa), a causa della introduzione dell’addizionale di 6,1 centesimo introdotta dopo le alluvioni del 2011, con un incasso di circa 7 milioni di euro annui che dovrebbero essere utilizzati per interventi riguardanti il dissesto idrogeologico, specie interventi sulle strade.
Insomma, non bastava che sulla benzina gravassero già  tasse misteriose” che resistono da oltre 70 anni e continuiamo a pagare: la prima fu introdotta da Mussolini nel lontano 1935 - 1,90 lire al litro sulla benzina per finanziare la guerra di conquista dell’Abissinia.

Poi nel corso degli anni ogni Governo ha deciso di imporre “balzelli” per ogni emergenza: la crisi di Suez del 1956 (14 lire); il disastro del Vajont del 1963 (10 lire); l’alluvione di Firenze del 1966 (10 lire);  il terremoto del Belice del 1968 (10 lire); il terremoto del Friuli del 1976 (99 lire); il terremoto
in Irpinia del 1980 (75 lire); la missione in Libano del 1983 (205 lire); la missione in Bosnia del 1996 (22 lire); il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004 (0,020 euro, ossia 39 lire); nel 2011 la manutenzione e la conservazione dei beni culturali, di enti ed istituzioni culturali (0,0073 Euro) e 0,040 Euro per far fronte all'emergenza immigrati dovuta alla crisi libica; nel 2011 altri 0,0089 per far fronte all'alluvione in Liguria ed in Toscana; nel 2011 ulteriori  0,112 Euro sul diesel e 0,082 Euro per la benzina in seguito alla finanziaria 2011 del governo Monti; altri 0,02 euro per il terremoto dell’Emilia del 2012.
Ma non finisce qui: perché come spesso accade in Italia, abbiamo una tassa sulla tassa. Su queste tasse e sulla imposta di fabbricazione viene aggiunta pure l’Iva del 22%.
Alla fine il prezzo complessivo della benzina che si paga al distributore è composto da varie voci: dal costo del prodotto raffinato, dal costo del suo trasporto e di stoccaggio, ai costi generali aziendali (spese di ufficio e del punto vendita, fino al margine per il gestore), ed infine dalle tasse. Tutti i vari costi specifici della benzina incidono però per circa il 30%, mentre il 70% da tasse, ci cui le sole accise pesano per il 52%.
Ma quanto guadagna lo Stato nel suo complesso?  I conti sono facili, ogni centesimo di aumento sul carburante comporta un maggiore introito di circa 20 milioni di euro al mese per le casse dello Stato. Secondo i dati dell’Unione petrolifera nel 2007, le entrate fiscali alimentate dai prodotti petroliferi sono state superiori ai 35 miliardi (24,7 derivanti dalle accise e 10,5 dall’Iva).
Alla fine il prezzo alla pompa della benzina venduta in Italia è il più alto d’Europa, anche a causa di un peso fiscale che solo in Olanda, tra i 27 paesi dell’Ue, presenta un valore leggermente superiore al nostro. In proposito, la CGIA di Mestre ha confrontato i dati europei e ha concluso che sulla benzina e anche sul gasolio abbiamo le tasse più alte d’Europa. Tenuto conto che il 90% delle nostre merci viaggia su strada ogni aumento della benzina comporta un aumento significativo dei prezzi dei principali beni di consumo.
Se a questa situazione si aggiunge il rincaro del bollo auto, delle polizze assicurative, delle varie multe si comprende come l’automobile (insieme alla casa) rappresentino una vera e propria patrimoniale mascherata, la quale unita alle tasse sul lavoro raffigurano un salasso vero e proprio operato dallo Stato su chi lavora e produce.
Ma questo salasso si traduce anche in un vero blocco allo sviluppo operato dall’intervento statale con le tasse. E non solo perché l’aumento delle tasse comporta generalmente una minore propensione al consumo, e quindi al calo della domanda e conseguentemente alla caduta della produzione e alla crisi produttiva. Inoltre, questa particolare situazione spiega l’acuirsi della crisi dei produttori di automobili (crollo delle le immatricolazioni di vetture nuove), esattamente come quella analoga del settore edile (crollo delle costruzioni e ristrutturazione, nonché degli stessi mutui). Tale crisi si riversa in primo luogo sui lavoratori che vengono messi in mobilità (vedere l’aumentato ricorso alla cassa integrazione)  e poi licenziati (vedere aumento disoccupazione, specie giovanile). Insomma, lo Stato si finanzia anche con le tasse sull’automobile, ma poi questo finanziamento di fatto comporta una maggiore spesa (cassa integrazione e indennità di disoccupazione), ma soprattutto una riduzione di reddito (impoverimento) delle famiglie che si traduce in minore gettito fiscale. Aumento delle spese e riduzione delle entrate, a loro volta, comportano nuove tasse o il loro aumento … una catena perversa che impoverisce il cittadino e porta diritto al fallimento dello Stato.
L’alternativa a questo perverso circolo vizioso ci sarebbe: la riduzione della spesa pubblica e la sua riqualificazione per assicurare una maggiore efficienza ed efficacia all’intervento statale.
Ma tale alternativa si scontra sulla difficoltà di avere politici con  idee chiare, grande conoscenza della macchina statale nel suo complesso e, soprattutto, volontà ferree nel procedere contro le rendite garantite dai privilegi statali … qualità assai rare attualmente in un politico italiano e da considerare quali “beni preziosi”indispensabili e urgenti da trovare!!!  
Questo è il vero problema italiano che viene drammaticamente rappresentato dal livello crescente dell’indebitamento dello stato italiano e dal rischio di un fallimento che potrebbe incidere pesantemente sulla qualità della vita degli italiani.
 
Bisogna svegliarsi e agire prima che sia troppo tardi.

 Euro Mazzi

(fine prima parte)

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