Panem et
circenses,
cioè “Pane e giochi del circo” Sono parole di Giovenale (le Satire)
che si lamenta come questo fosse, ai suoi tempi, l'unico desiderio del popolino;
gli antichi romani sapevano bene come
tenere calma la plebe; ma certo non disdegnavano la dura repressione, ma questa
era nei fatti e non veniva declamata.
Tredici
secoli più tardi Lorenzo il Magnifico sosteneva che: “Pane e feste tengon il
popol quieto”. Re Ferdinando II di Borbone, detto Franceschiello, avrebbe
poi teorizzato che per ben governare un popolo occorrono le tre “F”: “Festa, Farina
e Forca”.
La
napoletaneità è caratterizzato dalle feste (folklore) collegate ad un evento
religioso, ma le cui radici si perdono spesso nella notte dei tempi in riti di
matrice pagana. Durante il periodo borbonico la vocazione festaiola del popolo
ebbe momenti di pura esaltazione grazie alla politica perseguita dai sovrani
riassunta nelle famose tre effe; ma quando serpeggiava la ribellione e il
Governo si impauriva veniva avviata una dura repressione, continuando però a
elargire continue feste.
La
festa barocca è soprattutto un’invenzione politica è un trattamento “morbido”
del conflitto sociale e al tempo stesso “un momento di formazione del consenso”.
I
concetti entrati nel sentire comune della cultura dominante sono semplici. Ai
governanti italiani della sinistra piace essere simile a quello che fu il modo di
gestire il popolo di Franceschiello, cioè l’idea di dare al popolo: Festa,
Farina e Forca …
Uno
dei compiti di un buon sindaco, di un buon politico, di una buona giunta è:
organizzare una estate a base di feste. Un altro esempio tipico è la Notte
Bianca, una festa dove vince la baldoria, l’alcol, la sporcizia e lo sballo. Le
feste proliferano sotto nomi diversi, ma accattivanti e non importa se costano
e se poi bisogna aumentare le tasse … non se ne può fare a meno.
Non
bisogna dimenticare che le feste hanno anche una valenza commerciale non
trascurabile, “tirano” una stanca economia di nicchia. Infatti, intorno ai
Comuni sono proliferate in questi anni molte associazioni culturali e sportive
(per esempio l’Arci), ma anche società che gestiscono attività e spazi pubblici destinati a queste iniziative
ricreative e sportive, utilizzando le convenzioni per gestire per conto degli
enti locali queste iniziative. Si è quindi sviluppata anche una significativa
creazione di posti di lavoro che permettono di distribuire redditi … e quindi
altrettanto consenso elettorale. Il tutto all’insegna della privatizzazione
degli utili derivanti da queste attività, mentre i costi restano a carico della
collettività … perché piace “vincere facile”.
E
questa circostanza introduce di fatto l’altra effe (Farina) che assicura, o si
lascia credere di assicurare, alla gente il sostegno, che sia esso sussidio,
cassa integrazione o stipendio precario, integrazioni di reddito, o sotto altre
varie forme.
L’ultima
effe (Forca) è riservata a chi non si allinea e a chi vuole sforare (coloro i
quali esercitano la libertà di esistere, della meritocrazia, dell’ambizione di
voler vivere, per chi ha il pensiero e il concetto libero e liberale della
propria esistenza) allora subentra inizialmente il paternalismo, ma poi infine,
l’autorità si esercita con il giustizialismo (solo per gli avversari
naturalmente) perché la forca rassicura sempre il popolo. Ma qui … a volte inciampano
anche i forcaioli alla Robespierre: chi inizia a tagliar teste finisce con la
testa tagliata, perché “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
Le
tre effe sono diventate oramai un modo di governare che assicura e organizza il
consenso e permette di vincere le elezioni, specie quelle locali dove sono più
dirette e immediate le ricadute sul popolo elettore, il quale confonde il buon
governo con la capacità di gestire le tre effe.
La
ricaduta di questo modo di governare consiste nell’aumento della spesa pubblica
e nel persistere della inefficienza gestionale degli Enti Locali, ma
soprattutto permette la continuità del potere in mano alle stesse oligarchie
che piano piano diventano casta, le quali non mollano i propri privilegi.
Allargando
il discorso, secondo alcune ricerche, i costi della politica diretti o indiretti ammontano a
23,2 miliardi di euro che riguardano circa 1,1 milioni di persone, di cui solo
una ristretta cerchia si possono definire “professionisti della politica” che
appunto vivono di politica.
E
così si va avanti fino a che le Autorità monetarie internazionali ci diranno
che la festa è finita, che il debito pubblico è diventato ingestibile e che
tocca al popolo pagarlo con più lavoro, meno retribuzione, minori diritti, più
ordine e disciplina …
Ma
fino a questo richiamo delle autorità monetarie … i profeti dell’effimero
continueranno a governarci perché il popolo regala a loro il consenso
necessario per vincere le elezioni e
così la festa continua
Euro Mazzi
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