castelnuovo magra

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venerdì 25 luglio 2014

NON C’E’ NULLA DA FARE, "L’IMBECILLITA’" AL GOVERNO NON FA CHE AUMENTARE LE TASSE. Occorre fare ordine e chiarezza … ma soprattutto occorre ridurre le tasse.

Alesina e Giavazzi in un editoriale sul Corriere della Sera del 12 luglio 2013 si chiedevano perché si continua ad aumentare le tasse, invece di tagliare la spesa pubblica. Si richiede maggiore flessibilità all’Europa piuttosto che fare un piano credibile di radicale riduzione delle uscite, quindi ci affidiamo sempre all'aumento della pressione fiscale.
Aumentare le spese, magari chiamandole «investimenti pubblici produttivi», ma di tutto l'Italia ha bisogno tranne che di più spesa pubblica. I consumi delle famiglie sono scesi del 6%, il potere di acquisto delle famiglie è diminuito, ma la spesa delle amministrazioni pubbliche al netto degli interessi è in costante crescita. Quindi concludevano che: “L'Italia ha bisogno di meno tasse sul lavoro per far crescere l'occupazione, e meno tasse sui consumi per far ripartire la domanda.

Aumentare la spesa pubblica significa che prima o poi le tasse dovranno crescere ancora di più”. Da anni continuiamo a commettere il medesimo errore: i vari governi hanno solo incrementato  ancor più la pressione fiscale, peggiorando la situazione. È un circolo vizioso che sta distruggendo l'economia.
Recentemente uno studio realizzato dalla Confcommercio e dal Cer, che ha preso in esame il periodo dal 1992 ad oggi ha evidenziato che le tasse locali hanno subito un incremento passando da 18 a 108 miliardi di euro; quindi in due decenni le imposte legate alle amministrazioni locali sono aumentate "di oltre il 500%".
Questo aumento considerevole del gettito locale è stato accompagnato da una crescita della spesa delle amministrazioni: mentre la spesa delle Amministrazioni Statali sono del 53%, quella di regioni, province e comuni del 126% e quella degli enti previdenziali del 127%: il risultato è che la spesa pubblica complessiva è raddoppiata. Inoltre, nell’ultimo decennio, risulta quasi triplicata l’incidenza delle addizionali regionali e comunali sull’Irpef; rilevante, infine, la differenziazione delle singole regioni in base all’incidenza dalla tassazione locale
Questi dati rappresentano il fallimento del federalismo. Il federalismo si ispira ad un principio di responsabilizzazione delle amministrazioni locali ed è una scelta istituzionale efficiente se riesce a favorire una migliore gestione delle politiche pubbliche, determinando una riduzione dei loro costi. Nelle intenzioni del legislatore, il federalismo avrebbe dovuto portare a un aumento dell’autonomia impositiva degli enti locali, facendo esplicitamente salvo il principio dell’invarianza della pressione fiscale complessiva a carico del contribuente. Nella sua fase attuativa, il federalismo si è però vistosamente allontanato da questo principio ispiratore. Non si trovano infatti, almeno fino a questo momento, tracce di compensazione fra i livelli locali e centrali, prevalendo invece una tendenza alla duplicazione di spese ed entrate.
Oltre che per il loro impatto quantitativo, le imposte locali si segnalano per il forte aumento del grado di frammentazione apportato al sistema fiscale. Il territorio italiano è ormai fortemente segmentato a causa del diverso peso assunto dai tributi prelevati dagli enti decentrati. Si è dunque in presenza di differenze che creano un’iniqua distribuzione della tassazione sulle famiglie e che rendono molto complesse le scelte localizzative delle imprese, un ulteriore fattore di complicazione che il sistema fiscale italiano pone sulle spalle del mondo della produzione e del consumo.
La si chiami Tari, Tuc, Tarsu o Tares, ecc. … la verità è che alla fine ai cittadini il nome interessa poco. Ciò che conta è come si calcola, quanto e quando si deve pagare.
Certo la politica che si rifugia nel puro cambiamento di nome (nominalismo di facciata) assume i connotati della presa in giro, rappresentando anche una confusione e una incapacità a fare scelte chiare e trasparenti (cioè “metterci la faccia”). Ma dietro a questo modo di fare politica si nasconde l’inganno: da una parte, si continua ad aumentare le tasse; dall’altra, si vuole far intendere di eliminarle o modificarle per aumentare o non perdere consenso. I cittadini devono capire che occorre cambiare questi POLITICI che non parlano chiaro; in democrazia esiste solo un modo  … come??? … non votandoli, cioè scegliendo un simbolo e/o una preferenza diversa.
Il voto è come un telecomando della TV se non piace un programma o un volto si cambia canale. Ma anche il cittadino deve uscire dal pensare di “guadagnare” per via clientelare. Chi ha ricevuto “favori” non sarà mai libero di cambiare voto. Il presupposto del cambiamento vero e duraturo è dunque imparare “a fare la fila” e aspettare il proprio turno … il troppo “furbo” continuerà a votare gli incapaci che si limitano a ingannare i cittadini.
(fine prima parte ... continua con l'analisi di Castelnuovo Magra - Euro Mazzi).

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